Nelle reazioni di ossidoriduzione vi sono specie, dette specie riducenti, che cedono elettroni e specie, dette specie ossidanti che acquistano elettroni
In modo del tutto generale si può indicare tale comportamento con le semireazioni:
Rid1 ⇌ Ox1 + n e– (semireazione di ossidazione)
Ox2 + n e– ⇌ Rid2 (semireazione di riduzione)
La reazione di ossidoriduzione risulta dalla somma delle due semireazioni:
Rid1 + Ox2 ⇌ Ox1 + Rid2
Una reazione di ossidoriduzione può essere generalizzata dalla seguente espressione:
a Rid1 +b Ox2 ⇌ c Ox1 +d Rid2
una tale reazione di equilibrio è caratterizzata da una costante di equilibrio K definita da:
K = acOx1 ∙ adRid2/ aaRid1 ∙ abRid1
Il cui valore numerico dipende dalla forza relativa delle due coppie coniugate interessate, ovvero dalla tendenza che hanno le diverse specie a cedere o acquistare elettroni. Così come si conoscono acidi e basi forti e acidi e basi deboli, così si constata sperimentalmente l’esistenza di ossidanti e riducenti di forza diversa. Ad esempio, il cloro elementare è in grado di ossidare gli ioni Br– presenti in soluzione acquosa, mentre lo iodio non è in grado di provocare la stessa reazione. Il processo:
Cl2 + 2 Br– ⇌ 2 Cl– + Br2
avviene quindi spontaneamente, mentre il processo
I2 + 2 Br– ⇌ 2 I– + Br2
non avviene spontaneamente.
Si può quindi concludere che l’ossidante Cl2 è più forte dell’ossidante I2.
Quanto più è forte un ossidante, tanto più debole è il riducente ad esso coniugato.
La forza ossidante e riducente può essere misurata con grande esattezza ed essere espressa in termini quantitativi. La misurazione è effettuata con un elettrodo di platino, immerso in una soluzione contenente sostanze ossidanti e riducenti: esso assume un potenziale tanto più positivo quanto più la soluzione manifesta un carattere ossidante e tanto più negativo quanto più la soluzione ha un carattere riducente.
Il potenziale assunto dall’elettrodo di platino rispetto ad un elettrodo di riferimento, è una grandezza che esprime le caratteristiche ossidoriduttive del sistema.
Potenziale di riduzione
Il potenziale di riduzione costituisce una misura della tendenza al trasferimento degli elettroni: un potenziale molto negativo denota un elevato potere riducente. Se si immerge un elettrodo di platino in una soluzione contenente la coppia coniugata Ox/Rid, atta a stabilire l’equilibrio:
Ox + n e– ⇌ Rid
il metallo inerte assume un potenziale di equilibrio E che non può essere misurato tal quale, tuttavia, se ne può misurare il valore relativo rispetto a un opportuno elettrodo di riferimento tramite una cella galvanica del tipo:
Pt│ Ox, Rid ║ elettrodo di riferimento
Il potenziale risulta esprimibile tramite l’equazione di Nernst:
E = RT/nF ln aOx/aRid + costante
Essendo n il numero di elettroni in gioco nella semireazione di riduzione Ox + n e– ⇌ Rid e il valore della costante dipende dalla natura dell’elettrodo di riferimento e dalla temperatura. Assumendo come elettrodo di riferimento l’elettrodo standard a idrogeno, la costante assume un determinato valore, corrispondente al potenziale standard della coppia Ox/Rid e viene indicata con il simbolo
E°Ox,Rid. Se si ammette un comportamento ideale per cui alle attività delle specie si possano sostituire le loro concentrazioni molari e passando ai logaritmi in base 10 si ha:
E = E°Ox,Rid + 2.303 RT/nF log [Ox]/ [Rid]
Il potenziale E, corrisponde, quindi, per convenzione alla f.e.m. della cella:
Pt │ Ox, Rid ║ H+ (aH+ = 1) │H2 ( 1 atm) , Pt
E quindi per un generico sistema a Ox + n e– ⇌ b Rid
Si ha:
E = E°Ox,Rid + 2.303 RT/nF log [Ox]a/ [Rid]b