Elettrodeposizione: principio, esempi

Già dai primi anni dell’800 il Chimico italiano Luigi Brugnatelli condusse i primi esperimenti di elettrodeposizione di rame, oro e argento. L’Accademia Francese delle Scienze, tuttavia ignorò questa scoperta. Circa un ventennio dopo John Wright scoprì che il cianuro di potassio era un ottimo elettrolita per l’elettrodeposizione dell’oro.

Nel 1840 i cugini Elkington migliorarono tale tecnica e brevettarono un metodo di elettrodeposizione. Tramite l’elettrodeposizione si può rivestire un oggetto con un metallo: molti oggetti metallici quali perni, viti, maniglie possono essere rivestiti con un altro metallo sia per scopo protettivo che per scopo decorativo.

Poiché vi sono molti diversi metalli che possono essere usati nella placcatura è importante trovare un adeguato elettrolita che garantisca una buona qualità nella placcatura. La superficie da placcare deve essere preventivamente preparata con un’accurata pulizia che consiste nell’utilizzo di determinati solventi come detergenti alcalini, acqua o detergenti acidi per rimuovere le impurezze.

Principio dell’elettrodeposizione 

Il principio dell’elettrodeposizione si basa sull’elettrolisi di una soluzione acquosa contenete il catione del metallo che deve ricoprire la superficie dell’oggetto. Nella cella elettrolitica l’oggetto che deve essere ricoperto è usato come catodo ovvero è collegato al polo negativo di una sorgente di corrente continua. L’anodo è collegato al polo positivo e chiude il circuito elettrico. Non appena la corrente passa nel circuito il catione metallico libero presente in soluzione si scarica sulla superficie del catodo riducendosi ossia acquistando un numero di elettroni pari alla propria carica secondo la seguente semireazione di riduzione:

Mn+(aq) + n e → M(s)

Purtroppo la semireazione di riduzione del catione metallico avviene sempre in competizione con la scarica dello ione H+ da cui si ottiene idrogeno gassoso: tale fenomeno diminuisce la quantità di metallo depositato rispetto a quella teoricamente calcolata con una resa che in taluni casi è intorno al 20% come avviene nel caso dei bagni di cromatura. Ciò è dovuto al fatto che parte della corrente fornita nel processo elettrolitico è consumata dallo sviluppo dell’idrogeno gassoso anziché essere utilizzata per la deposizione del metallo. Inoltre lo sviluppo dell’idrogeno gassoso ha effetti negativi sulla morfologia del metallo che si deposita  potendo causare spugnosità e difetti di  superficie, con conseguenze negative sulle proprietà estetiche, meccaniche e di resistenza alla corrosione.

La reazione di sviluppo dell’idrogeno gassoso in ambiente acido è:

2 H+ + 2 e → H2

mentre in ambiente basico è:

 2 H2O + 2 e → H2 + 2 OH

Esempi

Un tipico esempio di elettrodeposizione è costituito dalla cromatura; viene utilizzata una soluzione di bicromato di potassio K2Cr2O7 a cui viene aggiunto acido solforico concentrato. Lo ione bicromato risulta essere così protonato e si ha l’acido dicromico H2Cr2O7. La semireazione è quindi:

H2Cr2O7(aq)  + 12 H+(aq) + 12 e→ 2 Cr(s) + 7 H2O(l)

Gli altri metalli che vengono usati nella elettrodeposizione sono nichel, stagno, zinco. Nel caso dell’elettrodeposizione dell’argento viene usato lo ione poliatomico Ag(CN)2 piuttosto che lo ione Ag+ che darebbe luogo alla formazione di cristalli anziché di uno strato lucente e uniforme.

L’elettrodeposizione rispetta le leggi di Faraday per le quali la massa di una sostanza formata ad un elettrodo è proporzionale alla quantità di corrente che attraversa la cella ed inoltre le masse di sostanze diverse che si depositano all’elettrodo, a parità di corrente sono proporzionali ai loro pesi equivalenti

Quindi nel caso di una soluzione di AgNO3 quando passa 1 Faraday di carica dall’anodo al catodo si deposita 1 mole di argento metallico ovvero 107.870 g a seguito della semireazione di riduzione Ag+(aq) + 1 e → Ag(s) mentre nel caso si una soluzione di CuSO4 quando passa 1 Faraday di carica dall’anodo al catodo si deposita ½ di mole di rame ovvero 31.77 g a seguito della semireazione di riduzione Cu2+(aq) + 2 e → Cu(s).

Conoscendo la massa di metallo che si deposita su un oggetto e la sua superficie si può determinare lo spessore del metallo depositatosi dalla relazione:

spessore = massa del metallo / densità del metallo ∙ area dell’oggetto

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